giovedì 26 settembre 2013

Le lezioni d'italiano

Il sabato pomeriggio ho lezione d'italiano. E incredibilmente io non sono la studentessa: io sono l'insegnante. Non so ancora come sia possibile che ogni sabato, alle 15.30 e per due ore consecutive, io abbia la lucidità mentale di sedermi a un tavolo con due persone e spiegare regole grammaticali e correggere esercizi, ma questo è quello che succede ormai da un bel po'.

"Voreeeesti iun cafè, Laurà?"

"Sì, grazie!"
Ogni lezione comincia così: un caffè, qualche domanda sulla settimana trascorsa e poi si va. 
Le mie due studentesse hanno un'età imprecisata compresa fra i 60 e i 75 anni.
L. è apparentemente la più anziana fra le due: ha difficoltà a salire e scendere le scale, cammina piano, ha due nipoti pestiferi e ama viaggiare per il mondo da sola. Marocco, Yemen, Torino e Napoli: lei ci va da sola perché ha voglia di partire quando dice lei. P. è francese d'adozione: nata e cresciuta negli Stati Uniti da famiglia di origini italiane. Sapete, quei classici italo-americani tanto americani e poco italo... Qualche tempo fa, anche lei ha lasciato il suo paese per venire a Parigi dove ha insegnato per un po' l'inglese. Poi ha incontrato un uomo francese e hanno avuto un figlio. Suo figlio ha, a sua volta, conosciuto una donna giapponese che è diventata sua moglie. Da questa unione è nato un bambino che presenzia spesso alle nostre lezioni d'italiano. Tutti quanti ci chiediamo quale sarà la sua prima lingua quando imparerà davvero a parlare: per ora dice au revoir e ciao alla perfezione ed assiste abitualmente a conversazioni in francese, inglese e giapponese... Quando vedo il suo sguardo confuso, penso che non vorrei essere nei suoi panni, nonostante la mia passione per le lingue.

Le nostre lezioni d'italiano si svolgono ogni sabato nell'appartamento di P., nel quartiere più chic di Parigi. Io arrivo sempre in ritardo di almeno 10 minuti, con gli evidenti postumi delle mie sbornie del venerdì sera e i capelli sistemati alla meglio: a loro, però, non interessa.

“Laura, come fate voi donne italiane ad essere sempre così eleganti e sistemate?”
Mi guardo e penso: “Ma che dice?”

“Laura, ma come fate ad essere sempre così sorridenti? Siete un popolo felice!”
Rifletto e penso al traffico del GRA, alle innumerevoli proteste in fila alla posta, ai pianti di rabbia in seguito agli infiniti litigi nella segreteria della mia ex facoltà.

“Laura, in Italia tutto è bello, tutto è buono, tutto è fatto bene!”
Ed io penso alla bruttezza di tanti palazzi delle nostre periferie, agli sforzi di stomaco che avevo ogni giorno nella mia mensa delle medie, alle erbacce che crescono intorno alla fermata della metro Garbatella.

Mesdames, l'Italia è tanto meravigliosa quanto orribile, allo stesso tempo. Voi ne conoscete, grazie a Dio, il lato meraviglioso. Ma l'Italia è tanti paesi, è polivalente, eterogenea. Quello che ammirate a Padova, sarà impossibile da trovare a Napoli. Le bellezze di Napoli sono introvabili altrove. Siamo tanti e diversi, in un Paese grande come uno stivale...”
“Interessante... Adesso spiegaci i pronomi combinati!”

E loro, contente, mi ascoltano avventurarmi in spiegazioni di nozioni che, non so nemmeno io come, sono impresse nella mia testa dalle elementari. Parlo di soggetti, predicati verbali e complementi oggetto come se stessi ancora nella classe IVA di quella minuscola scuola elementare della campagna romana. Azzardo etimologie di parole che incontrai casualmente nei vari testi di preparazione per i miei esami universitari di linguistica. Esami che mi fecero mettere in questione più di una volta il corso di studi che avevo intrapreso...

Loro ascoltano, mi fanno domande e prendono appunti. Appunti che non useranno mai perché non studiano. L. e P. sono le peggiori studentesse che un insegnante possa incontrare. Non fanno i compiti, non ripassano, fanno finta di capire. Sono, però, le studentesse più appassionate che io abbia mai visto. Riflettono tanto, si informano sull'Italia, conoscono le vicende politiche del mio Paese meglio di me. Osservano gli italiani, ci analizzano.

Di rientro dalle sue vacanze estive in Sicilia, P. ha fatto questa considerazione:
“Gli italiani hanno paura del silenzio.”
“In che senso, P.?”
“L'Italia è un insieme di splendidi suoni legati alla vostra lingua, alla musica, alle voci, ai canti, ma voi italiani avete paura del silenzio. Ho girato la costa sicula e mi sono resa conto che non ho avuto modo di ascoltare il silenzio praticamente mai. Gli altoparlanti dei vostri lidi passano sempre musica a tutto volume, anche nell'ora della siesta. La gente parla di tutto - dalla bolletta della luce al matrimonio della starlette di turno - anche quando è intenta a nuotare in mare aperto. Le mamme hanno sempre qualcosa da rimproverare ad alta voce ai loro figli. Voi avete paura del silenzio...”
“Sai, P., credo che tu abbia proprio ragione...”

Con le orecchie piene di suoni italiani, non avevo mai notato che effettivamente l'Italia è davvero un Paese rumoroso, un Paese che urla come uno strillone di strada che, purtroppo, annuncia le stesse brutte notizie da un po' di tempo.
Questa è solo una delle tante cose che ho imparato da queste due donne intelligenti e vivaci.

Ogni sabato, di corsa in metro, mi chiedo “Che cosa mi dovrò inventare oggi? Quali domande impossibili mi faranno?” Ogni sabato arrivo sempre 10 minuti in ritardo alla mia lezione d'italiano. Ogni sabato P. e L. imparano - molto poco – da me, ed io imparo – molto – da loro.

Siamo tre insegnanti e tre studentesse ed impariamo. Anche se non ripassiamo mai la grammatica.

[Quando non mi sbronzo troppo il venerdì sera, riesco anche a concepire lezioni basate su "materiali didattici" simili a questo...]




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