domenica 25 gennaio 2015

Three years in Paris

Giorni trascorsi da quel 24 gennaio 2012: 1097
Paia di stivaletti acquistate da quel 24 gennaio 2012: 15. È ufficialmente una patologia.
Tragitti in linea 8 con cambio a Opéra: non calcolati
Traslochi effettuati: 3. Nella migliore delle ipotesi, presto 4
Voli low cost presi per rientrare a “Casa”: infiniti
Litri di vino rosé bevuti sulle rive della Senna nei lunghi pomeriggi estivi parigini: almeno 50
Grandi amori finiti tragicamente: molti, ma non abbastanza da perdere ogni speranza
Viaggi in ambulanza verso l'ospedale circondata da aitanti pompieri: 1
Chilometri percorsi passeggiando per le strade di Parigi: mai troppi
Buoni motivi per lasciare Parigi: molti
Buoni motivi per restare a Parigi: comunque molti di più dei buoni motivi per lasciare Parigi

Sono 3 anni. Dovevano essere 3 mesi in principio. Amen, io non li seguo mai i piani.
3 anni di Parigi. 3 anni di domande su chi sono, cosa faccio, dove sto andando, perché sono qui. Le risposte a queste domande iniziano a definirsi sempre più chiaramente, grazie a Dio. E grazie a Dio, di domande ne subentrano delle nuove. Non sarebbe una vita stimolante senza domande.

Sono 3 anni di Parigi. 3 anni da quella caduta nei corridoi della metro a Denfert-Rochereau spingendo la mia valigia più grande. Quella che è nascosta con grande cura dietro le tende della mia camera. Perché ogni volta che la rivedo ricomincio a farmi le stesse domande alle quali credo di aver iniziato a trovare delle risposte. Quella valigia che non voglio vedere perché ogni volta che l'ho usata, è stato per dare un cambiamento drastico alla mia vita. E io di cambiamenti drastici dettati da una capiente valigia da 40 kg, per ora non ne voglio più.

Quando i francesi mi chiedono se sto bene a Parigi – et sinon, Paris ça te plaît? - ho ricominciato a dire di sì. Sorridendo.
Questa è la città che mi si è aperta davanti agli occhi poco per volta. Appena arrivata, notavo solo le sue brutture. La miseria, la sporcizia, i cattivi odori, la pioggia, la difficoltà di trovare un alloggio. Era Parigi che mi stava studiando. Voleva vedere quanto volessi misurarmi con lei. Quando ha capito che potevamo diventare buone amiche, ha deciso di sciogliersi i capelli e lasciarsi andare. La pioggia ha lasciato il posto al sole. Il Canal de l'Ourcq si è scongelato e ha iniziato ad invitarmi per l'aperitivo alle 19. Le passeggiate in solitaria si sono trasformate in un mosaico di facce familiari e amiche. Le cene davanti ai telefilm in streaming, sono diventate calorose cene in chiassosi bistrot. Le strette di mano di presentazione, sono diventate gli abbracci di cari amici.

Esattamente un anno fa, però, io e Parigi abbiamo attraversato un periodo difficile. Iniziavamo ad essere stanche l'una dell'altra. Io mi guardavo intorno nell'ipotesi di trovare una nuova città amica. L'ipotesi, però, è durata molto poco. Ci siamo tenute il broncio per un po', ma poi ci siamo messe a ridere e adesso siamo ancora più amiche di prima.

Parigi amica, sempre forte e fiera. Ultimamente, però, ha mostrato il suo volto più fragile. Ancora illuminata a feste natalizie, Parigi si è spezzata. Un blackout intervallato da spari. I volti delle persone impaurite. I colleghi in panico per i figli a scuola a Montrouge. Gli amici a pochi passi da Porte de Vincennes. Le strade vuote. I militari con i mitra in mano nella metro, nelle stazioni e vicino alle scuole. No, non è la guerra. Ci sono realtà ben più tragiche di questa, lo sappiamo tutti. Ma Parigi si è spezzata per un attimo. Ed è proprio nel momento in cui scopri le fragilità di un'amica che ti rendi conto del bene che le vuoi. Di quanto vuoi rimanerle accanto. Che ti rendi conto che speri che di anni insieme ce ne saranno ancora tanti.

- Et sinon, Paris ça te plaît?
Sorride e guarda il boulevard dalla finestra del bistrot. - J'adore.



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