Eyjafjallajökull ci aveva provato in tutti i modi a farmelo capire, ma all'epoca non avevo colto i suoi chiarissimi segnali dal Nord.
Passeggio
per le vie dell'Ile de la Cité con mia madre. È
un caldo e assolato pomeriggio di aprile 2010, e
dopo numerose chiamate senza risposta, riesco finalmente a prendere
la chiamata di mio padre sul mio all'epoca ipermoderno Samsung con
touch screen e videocamera da ben 3 megapixel.
“Oh,
ma ci riuscite a tornare a casa?”
“Ah
pa', ma che dici?”
“Eh,
c'è un vulcano in Islanda che ha eruttato e tutti i voli in Europa
sono cancellati...”
“Ah
pa', ma falla finita co' sti scherzi!”
“Vabbè,
vedete un po' voi.”
Riattacco.
“Ma',
c'è papà che dice che c'è un vulcano in Islanda che ha eruttato e
che, a causa delle ceneri che volano in cielo, tutti i voli in Europa
sono cancellati...”
“Tuo
padre non sa più che inventarsi per fare degli scherzi.”
Dopo
appena 5 minuti, i titoli dei giornali in un'edicola vicino alla
cattedrale di Notre-Dame confermano quello che sembrava uno scherzo
di un papà in cerca di attenzioni.
Non
sto a spiegarvi come e perché, ma dopo interminabili momenti di
panico, io e mia madre riusciamo finalmente a trovare il modo di
rientrare a Roma. In un pullman con un gruppo di thailandesi,
passando per la Svizzera, con soste pipì a Ginevra e Lugano. Tutto
questo nella notte del mio ventiseiesimo compleanno.
Chi
conosce un po' della mia vita, capirà l'ironia dell'annedoto.
Eyjafjallajökull
me lo aveva detto e predetto: resterai a Parigi, passerai per la
Svizzera, nella difficoltà ti divertirai da morire, mangerai
baguette in un pullman, correrai nei corridoi del metrò Chatelet con
una valigia in mano.
Un
vulcano in Islanda aveva cercato di dirmelo in tutti modi: “Tu devi
restare qua. E se proprio vorrai mettere il muso fuori da questa
città che odora di Starbucks, fogne e croque monsieur, sarà per
andare in Svizzera."
A
poco sono valsi in giri in Corsica, i colloqui di lavoro a Roma, le
candidature inviate in Portogallo. Temo davvero che all'epoca il
vulcano avesse capito di me stessa molto di più di quanto non avessi
potuto fare io.
Parigi
non è una città perfetta. Piove 6 giorni su 7. Ogni volta che
guardi per terra, per strada o nel metrò, vedi un topo. Nei bistrot
si mangia raramente bene e io e miei amici combattiamo a fasi alterne
con gastriti e disturbi intestinali. Le case sono piccole e vecchie.
Gli stipendi sono sempre troppo bassi rispetto al costo medio della
vita. I parigini sono rari e, quando ne conosci, non sono della specie
più simpatica.
Il
bello di Parigi, però, è che riesci, dopo ormai 3 anni che ci vivi,
a sentirti allo stesso tempo sempre “parigina” e “straniera”.
Parigina
perché conosci a memoria le sue 14 linee di metrò e, ad occhi
chiusi, sapresti come andare da Saint-Germain-de-Près a Porte de la
Villette con un solo cambio di linea, passando per Gare de l'Est.
Parigina perché sai perfettamente dove andare se di giovedì sera
cerchi un happy hour a base di birra con piattino di sauté di cozze
gratis (e da qui potete compredere perché abbiamo innumerevoli
problemi di gastrite, noi parigini acquisiti). Parigina perché sai
perfettamente da quale parte della Senna stare in un incredibilmente
assolato pomeriggio di metà marzo per godere per più tempo
possibile del sole, prima che questi si vada a nascondere dietro il
settimo piano di chissà quale palazzo haussmaniano.
Straniera
perché, dopo 3 anni, ancora tutti ti chiedono in quale città in
Italia sei nata (“Aaah Rome! C'est magnifique!”). Straniera
perché ancora oggi tutti i francesi, subito dopo aver scoperto che
sei italiana, ti chiedono la “vera ricetta” della carbonara.
Straniera perché ogni mattina alle 9.30, la collega all'ingresso
dell'open space dove lavori, ti saluta dicendoti “Hey, ciaò
Laooooora Pausiniiii!”
Parigina
e straniera allo stesso tempo perché scopri che riesci a gioire come
una bambina davanti a una casa delle Barbie nuova di zecca perché la
tua amica ha finalmente trovato un piccolo appartamento tutto per sé.
Perché scopri un nuovo posto dove bere un ottimo cocktail a base di
zenzero e rum. Perché quando a Parigi inizia ad arrivare la
primavera “Mamma mia, c'est top quoi. Compro al volo una bottiglia
di rosé e ci facciamo aperò sulla Senna, che ne dici?”
Eyjafjallajökull
me lo aveva detto in un caldo e incredibilmente assolato pomeriggio
di aprile: ti aspettano ancora tanti caldi e assolati pomeriggi a
Parigi, non potrai scappare troppo facilmente.