venerdì 13 marzo 2015

Eyjafjallajökull, il vulcano che conosceva il futuro.

Eyjafjallajökull ci aveva provato in tutti i modi a farmelo capire, ma all'epoca non avevo colto i suoi chiarissimi segnali dal Nord.

Passeggio per le vie dell'Ile de la Cité con mia madre. È un caldo e assolato pomeriggio di aprile 2010, e dopo numerose chiamate senza risposta, riesco finalmente a prendere la chiamata di mio padre sul mio all'epoca ipermoderno Samsung con touch screen e videocamera da ben 3 megapixel.
“Oh, ma ci riuscite a tornare a casa?”
“Ah pa', ma che dici?”
“Eh, c'è un vulcano in Islanda che ha eruttato e tutti i voli in Europa sono cancellati...”
“Ah pa', ma falla finita co' sti scherzi!”
“Vabbè, vedete un po' voi.”
Riattacco.
“Ma', c'è papà che dice che c'è un vulcano in Islanda che ha eruttato e che, a causa delle ceneri che volano in cielo, tutti i voli in Europa sono cancellati...”
“Tuo padre non sa più che inventarsi per fare degli scherzi.”
Dopo appena 5 minuti, i titoli dei giornali in un'edicola vicino alla cattedrale di Notre-Dame confermano quello che sembrava uno scherzo di un papà in cerca di attenzioni.
Non sto a spiegarvi come e perché, ma dopo interminabili momenti di panico, io e mia madre riusciamo finalmente a trovare il modo di rientrare a Roma. In un pullman con un gruppo di thailandesi, passando per la Svizzera, con soste pipì a Ginevra e Lugano. Tutto questo nella notte del mio ventiseiesimo compleanno.
Chi conosce un po' della mia vita, capirà l'ironia dell'annedoto.

Eyjafjallajökull me lo aveva detto e predetto: resterai a Parigi, passerai per la Svizzera, nella difficoltà ti divertirai da morire, mangerai baguette in un pullman, correrai nei corridoi del metrò Chatelet con una valigia in mano.
Un vulcano in Islanda aveva cercato di dirmelo in tutti modi: “Tu devi restare qua. E se proprio vorrai mettere il muso fuori da questa città che odora di Starbucks, fogne e croque monsieur, sarà per andare in Svizzera."
A poco sono valsi in giri in Corsica, i colloqui di lavoro a Roma, le candidature inviate in Portogallo. Temo davvero che all'epoca il vulcano avesse capito di me stessa molto di più di quanto non avessi potuto fare io.

Parigi non è una città perfetta. Piove 6 giorni su 7. Ogni volta che guardi per terra, per strada o nel metrò, vedi un topo. Nei bistrot si mangia raramente bene e io e miei amici combattiamo a fasi alterne con gastriti e disturbi intestinali. Le case sono piccole e vecchie. Gli stipendi sono sempre troppo bassi rispetto al costo medio della vita. I parigini sono rari e, quando ne conosci, non sono della specie più simpatica.
Il bello di Parigi, però, è che riesci, dopo ormai 3 anni che ci vivi, a sentirti allo stesso tempo sempre “parigina” e “straniera”.
Parigina perché conosci a memoria le sue 14 linee di metrò e, ad occhi chiusi, sapresti come andare da Saint-Germain-de-Près a Porte de la Villette con un solo cambio di linea, passando per Gare de l'Est. Parigina perché sai perfettamente dove andare se di giovedì sera cerchi un happy hour a base di birra con piattino di sauté di cozze gratis (e da qui potete compredere perché abbiamo innumerevoli problemi di gastrite, noi parigini acquisiti). Parigina perché sai perfettamente da quale parte della Senna stare in un incredibilmente assolato pomeriggio di metà marzo per godere per più tempo possibile del sole, prima che questi si vada a nascondere dietro il settimo piano di chissà quale palazzo haussmaniano.
Straniera perché, dopo 3 anni, ancora tutti ti chiedono in quale città in Italia sei nata (“Aaah Rome! C'est magnifique!”). Straniera perché ancora oggi tutti i francesi, subito dopo aver scoperto che sei italiana, ti chiedono la “vera ricetta” della carbonara. Straniera perché ogni mattina alle 9.30, la collega all'ingresso dell'open space dove lavori, ti saluta dicendoti “Hey, ciaò Laooooora Pausiniiii!”
Parigina e straniera allo stesso tempo perché scopri che riesci a gioire come una bambina davanti a una casa delle Barbie nuova di zecca perché la tua amica ha finalmente trovato un piccolo appartamento tutto per sé. Perché scopri un nuovo posto dove bere un ottimo cocktail a base di zenzero e rum. Perché quando a Parigi inizia ad arrivare la primavera “Mamma mia, c'est top quoi. Compro al volo una bottiglia di rosé e ci facciamo aperò sulla Senna, che ne dici?”

Eyjafjallajökull me lo aveva detto in un caldo e incredibilmente assolato pomeriggio di aprile: ti aspettano ancora tanti caldi e assolati pomeriggi a Parigi, non potrai scappare troppo facilmente. 


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"E' da tanto che non scrivi, come mai?"  E' una domanda che mi è stata posta ogni tanto nell’ultimo paio di anni. Semplic...