Il sabato pomeriggio ho lezione
d'italiano. E incredibilmente io non sono la studentessa: io sono l'insegnante. Non so ancora come sia possibile che
ogni sabato, alle 15.30 e per due ore consecutive, io abbia la
lucidità mentale di sedermi a un tavolo con due persone e spiegare
regole grammaticali e correggere esercizi, ma questo è quello che
succede ormai da un bel po'.
"Voreeeesti iun cafè, Laurà?"
"Sì, grazie!"
Ogni lezione
comincia così: un caffè, qualche domanda sulla settimana trascorsa
e poi si va.
Le mie due studentesse hanno un'età imprecisata
compresa fra i 60 e i 75 anni.
L. è
apparentemente la più anziana fra le due: ha difficoltà a salire e
scendere le scale, cammina piano, ha due nipoti pestiferi e ama
viaggiare per il mondo da sola. Marocco, Yemen, Torino e Napoli: lei
ci va da sola perché ha voglia di partire quando dice lei. P. è
francese d'adozione: nata e cresciuta negli Stati Uniti da famiglia
di origini italiane. Sapete, quei classici italo-americani tanto
americani e poco italo... Qualche tempo fa, anche lei ha lasciato il
suo paese per venire a Parigi dove ha insegnato per un po' l'inglese. Poi ha incontrato un uomo francese e hanno avuto un
figlio. Suo figlio ha, a sua volta, conosciuto una donna giapponese che
è diventata sua moglie. Da questa unione è nato un bambino che
presenzia spesso alle nostre lezioni d'italiano. Tutti quanti ci
chiediamo quale sarà la sua prima lingua quando imparerà davvero a parlare:
per ora dice au revoir e ciao alla perfezione ed
assiste abitualmente a conversazioni in francese, inglese e
giapponese... Quando vedo il suo sguardo confuso, penso che non
vorrei essere nei suoi panni, nonostante la mia passione per le
lingue.
Le nostre lezioni
d'italiano si svolgono ogni sabato nell'appartamento di P., nel
quartiere più chic di Parigi. Io arrivo sempre in ritardo di almeno
10 minuti, con gli evidenti postumi delle mie sbornie del venerdì
sera e i capelli sistemati alla meglio: a loro, però, non interessa.
“Laura, come fate
voi donne italiane ad essere sempre così eleganti e sistemate?”
Mi guardo e penso:
“Ma che dice?”
“Laura, ma come fate ad essere sempre così sorridenti? Siete un popolo
felice!”
Rifletto e penso al traffico del GRA, alle
innumerevoli proteste in fila alla posta, ai pianti di rabbia in seguito agli infiniti litigi nella segreteria
della mia ex facoltà.
“Laura, in Italia
tutto è bello, tutto è buono, tutto è fatto bene!”
Ed io penso alla
bruttezza di tanti palazzi delle nostre periferie, agli sforzi di
stomaco che avevo ogni giorno nella mia mensa delle medie, alle
erbacce che crescono intorno alla fermata della metro Garbatella.
“Mesdames,
l'Italia è tanto meravigliosa quanto orribile, allo stesso tempo.
Voi ne conoscete, grazie a Dio, il lato meraviglioso. Ma l'Italia è tanti paesi, è polivalente, eterogenea. Quello che
ammirate a Padova, sarà impossibile da trovare a Napoli. Le bellezze di Napoli sono introvabili altrove. Siamo tanti
e diversi, in un Paese grande come uno stivale...”
“Interessante...
Adesso spiegaci i pronomi combinati!”
E loro, contente,
mi ascoltano avventurarmi in spiegazioni di nozioni che, non so
nemmeno io come, sono impresse nella mia testa dalle elementari. Parlo di
soggetti, predicati verbali e complementi oggetto come se stessi
ancora nella classe IVA di quella minuscola scuola elementare della
campagna romana. Azzardo etimologie di
parole che incontrai casualmente nei vari testi di preparazione
per i miei esami universitari di linguistica. Esami che mi fecero
mettere in questione più di una volta il corso di studi che avevo
intrapreso...
Loro ascoltano, mi
fanno domande e prendono appunti. Appunti che non useranno mai perché
non studiano. L. e P. sono le peggiori studentesse che un insegnante
possa incontrare. Non fanno i compiti, non ripassano, fanno finta di
capire. Sono, però, le studentesse più appassionate che io abbia
mai visto. Riflettono tanto, si informano sull'Italia,
conoscono le vicende politiche del mio Paese meglio di me. Osservano
gli italiani, ci analizzano.
Di rientro dalle
sue vacanze estive in Sicilia, P. ha fatto questa considerazione:
“Gli italiani
hanno paura del silenzio.”
“L'Italia è un
insieme di splendidi suoni legati alla vostra lingua, alla musica, alle voci, ai canti, ma voi italiani avete paura del silenzio. Ho girato
la costa sicula e mi sono resa conto che non ho avuto modo di
ascoltare il silenzio praticamente mai. Gli altoparlanti dei
vostri lidi passano sempre musica a tutto volume, anche nell'ora della
siesta. La gente parla di tutto - dalla bolletta della luce al
matrimonio della starlette di turno - anche quando è intenta a
nuotare in mare aperto. Le mamme hanno sempre qualcosa da
rimproverare ad alta voce ai loro figli. Voi avete paura del
silenzio...”
“Sai, P., credo
che tu abbia proprio ragione...”
Con le orecchie
piene di suoni italiani, non avevo mai notato che effettivamente
l'Italia è davvero un Paese rumoroso, un Paese che urla come uno
strillone di strada che, purtroppo, annuncia le stesse brutte notizie
da un po' di tempo.
Questa è solo una
delle tante cose che ho imparato da queste due donne intelligenti e
vivaci.
Ogni sabato, di
corsa in metro, mi chiedo “Che cosa mi dovrò inventare oggi? Quali
domande impossibili mi faranno?” Ogni sabato arrivo sempre 10
minuti in ritardo alla mia lezione d'italiano. Ogni sabato P. e L.
imparano - molto poco – da me, ed io imparo – molto – da loro.
Siamo tre
insegnanti e tre studentesse ed impariamo. Anche se non
ripassiamo mai la grammatica.
[Quando non mi sbronzo troppo il venerdì sera, riesco anche a concepire lezioni basate su "materiali didattici" simili a questo...]