giovedì 21 novembre 2013

No, no, no, novembre...

Forza di scrivere non ne ho avuta e non ne ho. Un motivo c'è: si chiama Novembre.

Novembre, sei sempre stato un gran mese di merda, fin da quando ero piccola. Fattelo dire.
Credevo fosse colpa del Novembre romano, ma il Novembre parigino non ha veramente nulla da invidiarti.
Le belle foglie rosse autunnali diventano poltiglia per colpa delle tue incessanti piogge.
Senza sciarpa ti ammali, con la sciarpa sudi.
I menù serali si riducono a: zuppa di verdure, zuppa di zucca, zuppa di porro, zuppa di soncazzo. Il tocco di classe è il crostino con un pizzico di noce moscata.
Il guardaroba, poi, diventa irrimediabilmente monocromatico (ancor più del solito): cappotto nero, sciarpa nera, jeans neri, stivaletti neri, umore nero.
A lavoro ci vai come un'invasata e sembri Amelia, la papera strega del Topolino.
Entri in ufficio che albeggia, esci che è già notte. La luce del giorno non la vedi proprio più.

Novembre, io ti cancellerei da tutti i calendari del mondo.
Novembre, vorrei sapere io che cosa ti ho fatto di male.
Novembre, il fatto che i grandi magazzini inizino a sfoggiare le decorazioni di Natale, non fa di te un mese più simpatico. Anzi, mi sembri solo ancor più triste.
Novembre parigino, ci hai provato ad essere un po' meno odioso del tuo cugino romano con le tue “ventes privées” a prezzi stracciatissimi e i tuoi saldi di metà autunno. Non ci sei riuscito, però, perché a novembre l'applicazione per smartphone della mia banca non fa altro che ricordarmi che, se spendo altri 3 euro in vestiti, farò bene a iniziare a fare l'elemosina al métro di Cluny-La Sorbonne.
Novembre, non mi ricordo di un novembre senza un'emergenza maltempo.
Novembre, sei un mese di merda, ma ogni anno, irriducibile, ti piazzi lì, fra il 31 ottobre e il 1° dicembre.
Novembre, è colpa tua se Giusy Ferreri, all'apice della mia depressione novembrina di qualche anno fa, mi si incrostò in testa con il suo “Ouh ouh ouuuuh...”.
Novembre, ti dirò di più: Axl Rose, a me, sta anche molto antipatico.
Novembre, a causa tua a Morrissey è venuto il ballo di san Vito nel mezzo della Death Valley.
Novembre, sono molta contenta che tu venga solo una volta l'anno. Non potrei tollerare un altro mese così poco affabile.

Novembre, fatti un esame di coscienza e sbrigati ad andartene.



martedì 8 ottobre 2013

Les promenades parisiennes

È una mite serata autunnale a Parigi. L'applicazione meteo del mio smartphone dice “Prevalentemente sereno” e, infatti, dai miei grandi occhiali nuovi, sono riuscita a vedere addirittura tre stelle in cielo passeggiando in Boulevard de la Tour-Maubourg.

- No, ma rientri a piedi?!?
Sì. Cosa sono 4 chilometri con 10 centimetri di tacchi ai piedi e una merdosa giornata di lavoro sul groppone, quando fuori c'è una serata del genere?

A Parigi ho imparato a camminare. E poi a correre. A Roma guidavo. Quando hai 10 mesi all'anno (o quasi) di bel tempo, non ti interessa troppo godere di ogni singola bella serata. Qui, invece, passeggi con qualsiasi condizione climatica perché pensi sempre che domani il tempo sarà peggiore di quel che è stato oggi. A Parigi ho passeggiato con 35° e l'afa, ho corso sotto la pioggia nemmeno stessi seguendo un programma di allenamento dei Marines, ho camminato su 10 centimetri di neve in cerca di un bistrot in cui mangiare un filet sauce au poivre.

Tutto questo perché qui non ha senso stare a casa. Anche perché a Parigi, molto spesso, non hai una vera casa. Gli appartamenti in cui abitiamo sono troppo piccoli, troppo fatiscenti o troppo condivisi. Tanto vale, allora, fare in modo che la città stessa diventi la tua casa. L'VIII arrondissement è un lussuoso ingresso che apre le porte sulla Ville Lumière. Il X è una cucina un po' sporca dove poter gustare i migliori hamburger della città. Il XIX, con il suo bel Parc des Buttes Chaumont e il Bassin de la Villette, è un caldo e conviviale soggiorno in cui ricevere gli ospiti per un caffè. Il XV è la mia camera da letto con luci soffuse e candele profumate. La fermata di République è il cesso di Parigi, con i suoi famelici topi e i barboni che pisciano sulle rotaie del métro. Trocadéro è il meraviglioso balcone da cui ammirare la Tour Eiffel. Pigalle è la sala hobby insonorizzata dove ascoltare musica a tutto volume senza che i vicini si lamentino.

Da Mirosmenil a casa mia il tragitto ricalca i tipici canoni chic parigini: affascinanti avenues in cui si susseguono lussuosi hotel, pochi turisti che passeggiano, tanti lavoratori incravattati che rientrano a casa dopo essere stati incastrati nelle varie cene di lavoro. Io non ho la cravatta, ma per stasera sono una di questi. Poco male, ho bevuto dell'ottimo vino. Vicino all'Eliseo ci sono tante volanti di polizia. A me la polizia di solito non piace molto, ma quando decido di rientrare a casa da sola a piedi, non mi dispiace che ci sia, lo ammetto. 
Allez hop! Rue du Faubourg-Saint Honoré, avenue de Marigny, gli Champs-Élysées, Petit e Grand Palais, Pont Alexandre III...

- Ahia! Ecco che arriva la vescica al piede sinistro. Supero il ponte, arrivo a Invalides e prendo la metro piuttosto che rovinarmi un piede. Sì, però come si sta bene...
- No, senti devia a destra e vedi se trovi una brasserie con tabacchi aperta: dopo tutto quel vino una sigaretta ci sta bene.
- Figuriamoci se trovo un tabac a quest'ora: arriverò a casa con il piede tumefatto e senza sigaret...

Eccolo! E dietro il tabac, Lei. La Tour che sbrilluccica come ad ogni primi 10 minuti delle ore serali. Ogni volta che la vedo, mi scappa un sorriso e guardo i turisti che la fotografano con aria un po' fiera perché io posso vederla ogni sera. Un po' quello che facevo ogni volta che passavo accanto al Colosseo nel bus 87 e vedevo i turisti che si tiravano le maniche delle maglie l'un con l'altro per attirare l'attenzione su quella meraviglia.

Non vorrei essere in nessun altro posto, no. Voglio stare qui, io. È in serate come questa che capisco di essere innamorata di questa città. Basta una passeggiata perché tutto vada bene.

- Signorina, la prego, ha una sigaretta da darmi? Gliela pago...

No, basta con questa storia del “Ti pago la sigaretta”: lo so perfettamente quanto sia difficile trovare un tabac a quest'ora, io ho dovuto camminare quasi 4 chilometri per trovarne uno...
Uff, però che male questa vescica. Domani sarò obbligata per l'ennesima volta ad avvolgermi il piede in 4 cerotti. Che fastidio. Da quando abito qui ho sempre i piedi martoriati. Chi me lo fa fare, poi, di mettermi i tacchi per andare a lavoro... Per stare lì, poi. Sarebbe giusto andarci in pantofole quasi quasi, guarda...

Pfffff, calma Laura. Sei qui. Sei a Parigi e sei felice di esserci. Sei a Parigi e ci resterai ancora un bel po'. Sei a Parigi e da qui non te ne vai. Per ora...


La - per nulla parigina - colonna sonora di questo tiepido autunno parigino...


giovedì 26 settembre 2013

Le lezioni d'italiano

Il sabato pomeriggio ho lezione d'italiano. E incredibilmente io non sono la studentessa: io sono l'insegnante. Non so ancora come sia possibile che ogni sabato, alle 15.30 e per due ore consecutive, io abbia la lucidità mentale di sedermi a un tavolo con due persone e spiegare regole grammaticali e correggere esercizi, ma questo è quello che succede ormai da un bel po'.

"Voreeeesti iun cafè, Laurà?"

"Sì, grazie!"
Ogni lezione comincia così: un caffè, qualche domanda sulla settimana trascorsa e poi si va. 
Le mie due studentesse hanno un'età imprecisata compresa fra i 60 e i 75 anni.
L. è apparentemente la più anziana fra le due: ha difficoltà a salire e scendere le scale, cammina piano, ha due nipoti pestiferi e ama viaggiare per il mondo da sola. Marocco, Yemen, Torino e Napoli: lei ci va da sola perché ha voglia di partire quando dice lei. P. è francese d'adozione: nata e cresciuta negli Stati Uniti da famiglia di origini italiane. Sapete, quei classici italo-americani tanto americani e poco italo... Qualche tempo fa, anche lei ha lasciato il suo paese per venire a Parigi dove ha insegnato per un po' l'inglese. Poi ha incontrato un uomo francese e hanno avuto un figlio. Suo figlio ha, a sua volta, conosciuto una donna giapponese che è diventata sua moglie. Da questa unione è nato un bambino che presenzia spesso alle nostre lezioni d'italiano. Tutti quanti ci chiediamo quale sarà la sua prima lingua quando imparerà davvero a parlare: per ora dice au revoir e ciao alla perfezione ed assiste abitualmente a conversazioni in francese, inglese e giapponese... Quando vedo il suo sguardo confuso, penso che non vorrei essere nei suoi panni, nonostante la mia passione per le lingue.

Le nostre lezioni d'italiano si svolgono ogni sabato nell'appartamento di P., nel quartiere più chic di Parigi. Io arrivo sempre in ritardo di almeno 10 minuti, con gli evidenti postumi delle mie sbornie del venerdì sera e i capelli sistemati alla meglio: a loro, però, non interessa.

“Laura, come fate voi donne italiane ad essere sempre così eleganti e sistemate?”
Mi guardo e penso: “Ma che dice?”

“Laura, ma come fate ad essere sempre così sorridenti? Siete un popolo felice!”
Rifletto e penso al traffico del GRA, alle innumerevoli proteste in fila alla posta, ai pianti di rabbia in seguito agli infiniti litigi nella segreteria della mia ex facoltà.

“Laura, in Italia tutto è bello, tutto è buono, tutto è fatto bene!”
Ed io penso alla bruttezza di tanti palazzi delle nostre periferie, agli sforzi di stomaco che avevo ogni giorno nella mia mensa delle medie, alle erbacce che crescono intorno alla fermata della metro Garbatella.

Mesdames, l'Italia è tanto meravigliosa quanto orribile, allo stesso tempo. Voi ne conoscete, grazie a Dio, il lato meraviglioso. Ma l'Italia è tanti paesi, è polivalente, eterogenea. Quello che ammirate a Padova, sarà impossibile da trovare a Napoli. Le bellezze di Napoli sono introvabili altrove. Siamo tanti e diversi, in un Paese grande come uno stivale...”
“Interessante... Adesso spiegaci i pronomi combinati!”

E loro, contente, mi ascoltano avventurarmi in spiegazioni di nozioni che, non so nemmeno io come, sono impresse nella mia testa dalle elementari. Parlo di soggetti, predicati verbali e complementi oggetto come se stessi ancora nella classe IVA di quella minuscola scuola elementare della campagna romana. Azzardo etimologie di parole che incontrai casualmente nei vari testi di preparazione per i miei esami universitari di linguistica. Esami che mi fecero mettere in questione più di una volta il corso di studi che avevo intrapreso...

Loro ascoltano, mi fanno domande e prendono appunti. Appunti che non useranno mai perché non studiano. L. e P. sono le peggiori studentesse che un insegnante possa incontrare. Non fanno i compiti, non ripassano, fanno finta di capire. Sono, però, le studentesse più appassionate che io abbia mai visto. Riflettono tanto, si informano sull'Italia, conoscono le vicende politiche del mio Paese meglio di me. Osservano gli italiani, ci analizzano.

Di rientro dalle sue vacanze estive in Sicilia, P. ha fatto questa considerazione:
“Gli italiani hanno paura del silenzio.”
“In che senso, P.?”
“L'Italia è un insieme di splendidi suoni legati alla vostra lingua, alla musica, alle voci, ai canti, ma voi italiani avete paura del silenzio. Ho girato la costa sicula e mi sono resa conto che non ho avuto modo di ascoltare il silenzio praticamente mai. Gli altoparlanti dei vostri lidi passano sempre musica a tutto volume, anche nell'ora della siesta. La gente parla di tutto - dalla bolletta della luce al matrimonio della starlette di turno - anche quando è intenta a nuotare in mare aperto. Le mamme hanno sempre qualcosa da rimproverare ad alta voce ai loro figli. Voi avete paura del silenzio...”
“Sai, P., credo che tu abbia proprio ragione...”

Con le orecchie piene di suoni italiani, non avevo mai notato che effettivamente l'Italia è davvero un Paese rumoroso, un Paese che urla come uno strillone di strada che, purtroppo, annuncia le stesse brutte notizie da un po' di tempo.
Questa è solo una delle tante cose che ho imparato da queste due donne intelligenti e vivaci.

Ogni sabato, di corsa in metro, mi chiedo “Che cosa mi dovrò inventare oggi? Quali domande impossibili mi faranno?” Ogni sabato arrivo sempre 10 minuti in ritardo alla mia lezione d'italiano. Ogni sabato P. e L. imparano - molto poco – da me, ed io imparo – molto – da loro.

Siamo tre insegnanti e tre studentesse ed impariamo. Anche se non ripassiamo mai la grammatica.

[Quando non mi sbronzo troppo il venerdì sera, riesco anche a concepire lezioni basate su "materiali didattici" simili a questo...]




venerdì 20 settembre 2013

Io guardo le finestre

Quando cammino per strada, cammino a testa alta. Anzi, altissima. Ma al contrario di quello che potreste pensare, non lo faccio con sprezzante orgoglio o per una grande sicurezza in me stessa. Lo faccio perché amo guardare le finestre.

Se mi incrociate per strada, potrebbe capitare che non vi saluti perché sto guardando in alto. Perdonatemi, è più forte di me. Mi piace guardare attraverso le piccole fessure fra le tende, spiare un po' le vite degli altri. La sera, poi, con le luci accese è ancora più bello. Per non parlare dell'estate, quando, per il caldo, le finestre restano aperte e in molti casi si sentono anche le voci delle persone che vivono le case oggetto del mio voyeurismo. Mi piace immaginare quello che c'è dietro i vetri delle finestre, gli odori delle cucine, l'arredamento delle case, le musiche di sottofondo. Mi piace immaginarmi in quelle case, per vedere se sono belle o brutte come sembrano da fuori.
Ho camminato a testa alta per le strade di Roma e provincia, sentendo bambini piangere e mamme arrabbiarsi. Ho camminato a testa altissima a Parigi, immaginando i begli appartamenti agli ultimi piani dei palazzi haussmanniani (a malincuore, ho poi scoperto che quei begli appartamentini sono, in moltissimi casi, dei loculi infernali). Ho camminato a testa alta in Portogallo, ammirando gli azulejos e ascoltando le persone parlare quella splendida lingua. Ho camminato a testa alta per le strade di Locarno, sentendo voci che parlavano in italiano in un posto che Italia non è. Ho camminato a testa alta a Londra, immaginando piedi nudi che camminano su moquette blu.

A Parigi mi piace tanto prendere le linee della metro 2 e 6 perché passano su binari sopraelevati e mi permettono di guardare le finestre comodamente seduta sul mio sedile. Guardo, mi incuriosisco, immagino metrature quadre, arredamenti, profumi, famiglie.
Non amo quando dalle finestre si vedono le luci fredde da ufficio della Asl. Amo tanto, invece, quelle belle luci soffuse che scaldano gli ambienti e i cuori. E amo i panni stesi ai balconi, che donano tanto colore e mi permettono di immaginare anche come sono vestite le persone che abitano dietro quelle finestre. A Parigi, purtroppo, i panni non si stendono ai balconi. I palazzi devono restare “puliti” e ordinati. Quando torno a Roma è sempre una gioia veder svolazzare i panni quasi asciutti dalle finestre dei quartieri più popolari. In compenso, qui abbiamo grandi e lunghe finestre, tetti a 45 gradi con bei balconcini microscopici tanto romantici e ogni tanto ultimi piani con piccole cupole, come quella che vedo dalla finestra della mia camera da letto parigina.

Come a dire che ogni città ha le finestre che meglio rappresentano le personalità di chi vive lì, la familiarità delle case che si celano dietro di esse. Ed io mi chiedo ancora se preferisco i panni stesi sui balconi di Colli Albani o le luci soffuse delle finestre del 15° arrondissement.  



martedì 10 settembre 2013

Vite a tempo determinato

Ero una di quelle persone che quando ammetteva di essere assunta a tempo determinato, abbassava lo sguardo. Quasi in segno di vergogna. Pessimo atteggiamento. Soprattutto in questo preciso periodo storico ed economico. Anche perché siamo tutti a tempo determinato. Le nostre vite sono a tempo determinato.

Abbiamo contratti di lavoro con data di scadenza, contratti di affitto con data di scadenza, rapporti interpersonali con data di scadenza. Impossibile e terrificante pianificare le nostre vite.
Abbiamo grandi aspirazioni personali che possono attendere. Vogliamo sistemarci, ma un giorno, chissà quando, più in là. Un giorno, prima o poi, vorremo anche dei figli, ma non ora. Siamo giunti ai fatidici 30 anni e pensiamo ancora come se di anni ne avessimo appena 18.
“Sì, un giorno mi sposerò, devo solo trovare qualcuno pronto come me a fare il grande passo...” E poi, un giorno, trovi la persona disposta ad impegnarsi a “tempo indeterminato” e ti senti soffocare, dubiti che sia davvero quello che vuoi per la tua vita.
Diamo dei limiti temporali ai rapporti: “Se entro 6 mesi, il rapporto non fa un salto di qualità, lo mollo...”. E se dopo 6 mesi, alla vigilia della data di scadenza, il rapporto sa di stantio, ci consoliamo pensando che ci sia un'occasione migliore che aspetta solo noi dietro l'angolo. Perché la vita è fatta di grandi occasioni da prendere al volo ed ogni lasciata è persa. Ma sarà poi così vero?

Sfogliamo nervosamente annunci di lavoro in cerca di contratti a tempo indeterminato, clicchiamo e riclicchiamo in giro per la Rete, correggiamo i nostri CV in vista del tanto ambito contratto-chimera, forgiamo le nostre personalità e smussiamo i nostri difetti in funzione di un rapporto a lungo termine. E poi, assistiamo alle lamentele infinite di chi quelle chimere ce le ha, incredibilmente.
"Se potessi, lascerei tutto e me ne andrei..."
"Beata te che non hai legami e puoi disporre della tua vita..."
"Il lavoro/matrimonio mi soffoca..."

Le gioie del precariato. Il profumo della libertà. Un giorno sono qui, domani chi lo sa. Siamo cittadini del mondo perché obbligati ad essere nomadi. Non so cosa mangio stasera, vuoi che sappia dove sarò tra 6 mesi? Sì, ho voglia di sistemarmi, ma prima devo trovare un lavoro che me lo permetta. Un posto fisso. No, ma io penso che un rapporto fisso adesso mi soffocherebbe. Ho bisogno di un lavoro fisso per poter pensare di sistemarmi. Questo rapporto non ha progettualità e ho deciso di porre un limite.

E l'amore si piega alle leggi del mercato del lavoro e assume un linguaggio quasi sindacale.  

[Anni che non la sentivo - e anni che non ne sentivo la mancanza. 
Stasera, casualmente, a loop in un appartamento parigino...]


giovedì 5 settembre 2013

Pour Monicà

Monicà, se pò sapè che stai a fa'?
Uh santo cielo, nun te n'annà!
Resta qua, per pietà, se beccamo là,
come sempre, ventesimo arrondissemà,
nel quartiere che se chiama Menilmontà.
Monicà, dimme 'n po', ma 'ndo voi annà?
Cioè mò co' li russi te vorresti alleà?
Ma che devi da fa', c'hai freddo qua,
figuramose er gelo che ce sta là.
Monicà, ma dimme la verità:
non è che 'n po' già ce stai a ripensà?
Forza, su! Nun se dimo le falsità!
Monicà, fallo per me, nun te n'annà.
Dopo la delusione de Sarko-Carlà,
eri l'ultima speranza che me poteva restà:
l'ultimo esempio de italiana che da là era venuta qua
e li francesi più gajardi faceva sospirà.


Belli, vero?

Scordateveli...

lunedì 2 settembre 2013

Irritanti conversazioni metropolitane

MA SIETE ITALIANE ANCHE VOI???

È questo l’urlo del terrore. Pronunciato a più o meno 160 decibel e accompagnato da un immancabile sorriso ebete, introduce una conversazione inutile e quasi sempre basata su una sequela di luoghi comuni e osservazioni poco intelligenti. Un vorticoso giramento di palle, insomma.
Questo agghiacciante urlo è emesso quasi sempre da soggetti di sesso maschile di età compresa fra i 20 e 30 anni per attirare l’attenzione di esemplari femminili italici, preferibilmente dopo averle sentite parlare fra di loro ed essersi accertato che la loro lingua madre è proprio l'italiano.

Metro, linea 2. Domenica ore 24, minuto più minuto meno. 
Nonostante l’ora, nel treno c’è un bel po’ di gente. Dopo il tenero passaggio di una piccola mendicante cinese che intona canzoni popolari presentandosi e stringendo la mano a tutti i passeggeri, si consuma la tragedia.

“Sì, ciaaao.” Chiude la telefonata e si siede. Purtroppo accanto a noi.
Lancio uno sguardo alla mia amica biondissima. Sto cercando di comunicarle che il tipo in questione è italiano. Lei, da brava bionda, non capisce e continua a conversare. Lui si gira, ci sorride e fa un cenno col capo.
No, ti prego.
La mia amica si lancia in un’invettiva anti-foto di matrimoni postate su Facebook e lui decide di attaccare le sue povere prede.
“MA SIETE ITALIANE ANCHE VOI???”
Oddio santo.
“...sì.” Purtroppo, aggiungerei in questo caso.
Sorriso ebete.
“AAAAH, E DI DOOOOOVE SIETE???”
Dio, salvaci.
“E VI TROVAAAATE BEEEENE A PARIGGGGGGGGGGGI???”
“Sì, certo.”
“NON MI SEMBRI CONVINTAAAAA...”
- No, guarda. Quello non convinto sei di sicuro tu. - “No, sono convintissima. E tu, ti trovi bene?”
“MAAAAAH SENTI, SI... PERO È TROPPO GRANDE.”
Sarà anche come dici tu, ma varie fonti riportano questo dato: superficie del comune di Roma 1285 km² > superficie del comune di Parigi 105,4 km²
“E POI PREFERISCO ALTRI PAESI. TIPO LA SCHPAGNA, LA GREGIA, LA GROAZIA...”
La mia amica è basita. Nulla contro questi paesi che, anzi, hanno regalato ad entrambe vacanze magnifiche. Non capiamo, però, i parametri di classificazione.
“VEDETE, QUI NON CI SONO VALORI...”
No, ti prego.
“LE DONNE FRANGESI, POI, LASCIAMOLE STARE PROPRIO. SIETE D’ACCORDO, NO?”
“No.”
“NON MI POTETE DIRE COSÌ. QUI CI SI SCHPOSA E CI SI LASCIA DOPO 2 ANNI”
“Scusa, ma è più o meno quello che succede in Italia, eh...”
“NO, MA QUANDO MAI A’ REGAZZI’. QUI SI TOCCANO LIVELLI INCREDIBBBILI.”
Non lo ha detto. Non mi si è rivolto con un “A’ Regazzì”.
La mia bionda amica si lancia: “Scusa, ma dici così perché conosci molti francesi che si sono separati?”
“SIIII CIIIIIERTO, HO UN SACCO DI AMICI FRANCESI!”
Bah, parlerà con senno di causa, allora...
“E VOOOOI, COSA FATE NELLA VITA?”
“Io lavoro nel campo dell'****...”
“...e io faccio la *********** per una società.”
Silenzio. Non sa come riallacciare la conversazione.
“QUINDI VOI PARLATE FRANCEEESE! LAVORATE PROPRIO IN FRANCESE, NO? PENSATE CHE IO STO QUAAAAA DA 8 MESI E PRATICAMENTE NON LO PARLO IL FRANCESE!!!"

Ride, soddisfatto perché si sente l'uomo più furbo del mondo. Scende a Place de Clichy e io e la mia amica bionda ci guardiamo infastidite.
"Scusa, ma come si fa a stare qui e non imparare il francese?"
"No, ma piuttosto come fai ad avere un sacco di amici francesi se NON parli francese?"

Ma allora si può pretendere di conoscere una società senza neanche conoscerne la lingua. Quindi ci si può limitare ai luoghi comuni, a due o tre racconti riportati da chissà chi... Che scema che sono stata io ad aver studiato il francese per anni, quando avrei potuto conoscere la mentalità francese in appena 8 mesi senza dover sostenere nemmeno una conversazione in francese. Che scema che sono io a non basarmi su luoghi comuni per formulare le mie opinioni su un paese con 65 milioni di abitanti. Che scema che sono io a non dire che i francesi sono tutti snob e le francesi tutte facili.

MA SIETE ITALIANE ANCHE VOI???


Sì, ma siamo delle italiane un po' diverse da te.


*** Nota bene: ogni riferimento ad accenti regionali è riportato per pura fedeltà all'episodio narrato. Nessun italiano del sud è stato maltrattato durante la stesura di questo post. Nelle mie vene scorre sangue meridionale e sto friccicore me piace.






domenica 1 settembre 2013

Risvegli parigini

Le 7.45. Perché la domenica mi sveglio sempre così presto?
Chiudi gli occhi e girati nel piumone (sì, qui dormiamo già col piumone...): ti riaddormenterai.
Boom: le 11.10. Oddio, dove sono?
Un minuto per realizzare che tutto quello che mi passa per la testa era solo un sogno.
No, Laura. Non la puoi chiamare quella persona: era un sogno. Uno di quegli orrendi sogni alla “Sliding Doors” (o alla “Lola corre” senza rapine né proiettili). Come sarebbe stata la tua vita se...
Era tutto uguale a questa vita, ma c'era “qualcosa” di diverso.
Un altro minuto per realizzare che sono nel mio letto, a Parigi, dove vivo ormai da un po'.
Alzati, apri la tenda, fuori c'è il sole. Corri a farti un caffè. Il sole a Parigi durerà ancora poche settimane (settimane nella più ottimistica delle ipotesi...): pensa subito a qualcosa da fare. Parchi, corse, picnic, aperitivi, amici. 
Sì, ora faccio tutto.

Ma mentre verso il caffè nella mia grande tazza “Wondergirl” ci ripenso. Come sarebbe stata la mia vita se...
Come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasta a Roma? Cosa sarebbe successo se quel colloquio da segretaria di quel prestigiosissimo master fosse andato bene? Sarei stata contenta? Forse sarei rimasta a casa con i miei genitori, avrei assistito alla “diaspora” delle mie migliori amiche verso il nord, verso la Svizzera, alla ricerca di un'opportunità. Forse avrei trovato l'amore. No, forse questo no. 
Di sicuro mi sarei chiesta come sarebbe stata la mia vita se fossi andata a Parigi.

Quello che so è che scelgo ogni giorno consapevolmente di restare qui, in questa città che esige tanta energia ma che ogni giorno è in grado di regalare sorprese, sorrisi inaspettati e qualche colpo di scena.
Perché la vera scelta non è “partire”, ma è decidere di restare. Scegliere lucidamente, dopo aver fatto il tentativo.

Ieri, davanti a un bicchiere di vino rosé e una fetta di melone, la mia cara biondissima amica, forte del suo nuovo taglio di capelli e di un paio di leggings che sembravano esserle stati cuciti su misura, mi ha detto che secondo lei avrei dovuto aprire un blog. Non so per raccontare cosa esattamente: di italiane quasi trentenni a Parigi ne siamo tante e la mia storia non è tanto diversa dalla loro. Scommetto, infatti, che ognuna di loro si chiede spesso “Come sarebbe stata la mia vita se...”, ma non so se tutte sono contente della risposta che si danno.

Poche domande, poche risposte. Hai una domenica da organizzare. Infilati le scarpe da ginnastica e corri verso la Tour Eiffel. Il sole si concederà ancora per poco tempo e sai perfettamente com'è vivere per sei mesi o forse più senza sole.  


Women // Teachers

"E' da tanto che non scrivi, come mai?"  E' una domanda che mi è stata posta ogni tanto nell’ultimo paio di anni. Semplic...