I miei amici portoghesi la
chiamerebbero Saudade. Quella
malinconia nella quale riesci quasi a cullarti, che ti accompagna
come un cane fidato che ogni tanto ti ricorda della sua presenza
dandoti una musata sul ginocchio. E mi torna in mente che in un passato
nemmeno tanto remoto, compilai un numero indefinito di moduli proprio
per andare a lavorare in Portogallo.
Chissà
come sarebbe stata la mia vita in Portogallo...
Io, la
Saudade, me la porto
dietro ormai da un po'. E quando, come stasera, mi sale il magone
mentre scendo le scale della metro Lourmel perché vorrei che fossero
le scale della metro Re di Roma, la curo a colpi di mortadella.
Entro
nel mio Monoprix di fiducia. Quello all'incrocio fra Rue du Commerce
e Boulevard de Grenelle. Quello dove vado da più di due anni a questa
parte. Prendo un carrellino piccolo da spesa che fa tanto single
parigino, e mi inoltro nei due piani di merce di questo affollato
supermercato. Inizio prendendo flaconi di shampoo all'avena e
deodoranti senza parabeni, per rendere il carrellino più
affascinante e un po' meno rital.
Poi mi dirigo al secondo piano. E lì, vado diretta verso la
mortadella. Bella, genuina, rosa.
Je vois la vie en rose.
Nel carrellino, insieme a lei,
shampoo, deodorante, una baguette, un po' di formaggio e una
bottiglia di vino rosé.
Je vois la vie en rosé.
Arrivata
a casa, ripongo i miei cosmetici rigorosamente senza parabeni nella salle
de bain, stappo il vino, taglio
quasi mezza baguette e mi appresto, con una minuzia quasi chirurgica,
ad alternare strati sottilissimi di formaggio a fette a spessi strati
di magnifica mortadella. Sono pronta a gustare la mia baguette all'italiana,
sperando di essere teletrasportata in un momento nel salone verandato
di casa mia, o di casa dei miei – non so più come chiamarla.
Casa
mia.
Roma
mia.
Mamma
mia.
Solo
che 'sta mortadella non è mica buona come quella di casa. Non
profuma. Il panino allappa. La baguette ci sta male. Sto formaggio
non c'entra un cazzo. Ma chi me l'ha fatto fa' de spenderce pure i
soldi. M'è costata quanto un braccialetto de Tiffany, 'sta
mortadella.
I miei
amici portoghesi la chiamano Saudade. Io
non lo so come chiamarla. È
la voce che si strozza mentre parli su Skype con tua madre e le
racconti il concerto della sera prima di tre cantanti romani in
tournée a Parigi: “...è la Roma quella bella, Mamma. Quella che
mi manca.”
Perché
cazzo se mi manca Roma! Ormai
da non so quanto, vivo con
quella sensazione che ti dà la fine di una tragica e malata storia
d'amore. Come quando sei combattuta fra il dolore della rottura e
della lontananza, e la consapevolezza che tornare indietro e
riprovarci ti farebbe stare ancora peggio. Perché sai che non
sarebbe più come prima. Perché ormai tu hai preso un'altra
direzione e no, in realtà non rivorresti adesso quella vita, ma ti
manca lo stesso.
E
mi mancano i cornetti col cappuccino, i distributori di sigarette, il
Circolo degli Artisti, i miei cani, “che se famo 'n aperitivo ar
volo?”, mio padre che esce a comprare il giornale e rientra coi
volantini delle offerte dei negozi di elettrodomestici, mia madre che
torna dal lavoro e fa il caffé alle 6 di sera, “te faccio 'no
squilletto quando so' pronta”, “Giusè, scendiiiii che è pronta
la cenaaaaaaa”, mortaccivostracheschifostacittàdemmerda, chonamarezzatotale, ammazzachebbellaRomancentroperò, ciaosentichemmedaineurodepizzabbianca, tepregononannamaTrasteverecheppepparcheggiàpoiènbordello...
I
miei amici portoghesi la chiamo Saudade.
Io un nome non so darglielo, ma è lì e stasera non vuole proprio andarsene.
Je
vois la vie en Rome.