mercoledì 1 ottobre 2014

Only Mortadella can break your heart

I miei amici portoghesi la chiamerebbero Saudade. Quella malinconia nella quale riesci quasi a cullarti, che ti accompagna come un cane fidato che ogni tanto ti ricorda della sua presenza dandoti una musata sul ginocchio. E mi torna in mente che in un passato nemmeno tanto remoto, compilai un numero indefinito di moduli proprio per andare a lavorare in Portogallo.
Chissà come sarebbe stata la mia vita in Portogallo...

Io, la Saudade, me la porto dietro ormai da un po'. E quando, come stasera, mi sale il magone mentre scendo le scale della metro Lourmel perché vorrei che fossero le scale della metro Re di Roma, la curo a colpi di mortadella.
Entro nel mio Monoprix di fiducia. Quello all'incrocio fra Rue du Commerce e Boulevard de Grenelle. Quello dove vado da più di due anni a questa parte. Prendo un carrellino piccolo da spesa che fa tanto single parigino, e mi inoltro nei due piani di merce di questo affollato supermercato. Inizio prendendo flaconi di shampoo all'avena e deodoranti senza parabeni, per rendere il carrellino più affascinante e un po' meno rital
Poi mi dirigo al secondo piano. E lì, vado diretta verso la mortadella. Bella, genuina, rosa. 
Je vois la vie en rose. 
Nel carrellino, insieme a lei, shampoo, deodorante, una baguette, un po' di formaggio e una bottiglia di vino rosé. 
Je vois la vie en rosé.

Arrivata a casa, ripongo i miei cosmetici rigorosamente senza parabeni nella salle de bain, stappo il vino, taglio quasi mezza baguette e mi appresto, con una minuzia quasi chirurgica, ad alternare strati sottilissimi di formaggio a fette a spessi strati di magnifica mortadella. Sono pronta a gustare la mia baguette all'italiana, sperando di essere teletrasportata in un momento nel salone verandato di casa mia, o di casa dei miei – non so più come chiamarla.

Casa mia.
Roma mia.
Mamma mia.

Solo che 'sta mortadella non è mica buona come quella di casa. Non profuma. Il panino allappa. La baguette ci sta male. Sto formaggio non c'entra un cazzo. Ma chi me l'ha fatto fa' de spenderce pure i soldi. M'è costata quanto un braccialetto de Tiffany, 'sta mortadella.

I miei amici portoghesi la chiamano Saudade. Io non lo so come chiamarla. È la voce che si strozza mentre parli su Skype con tua madre e le racconti il concerto della sera prima di tre cantanti romani in tournée a Parigi: “...è la Roma quella bella, Mamma. Quella che mi manca.”
Perché cazzo se mi manca Roma! Ormai da non so quanto, vivo con quella sensazione che ti dà la fine di una tragica e malata storia d'amore. Come quando sei combattuta fra il dolore della rottura e della lontananza, e la consapevolezza che tornare indietro e riprovarci ti farebbe stare ancora peggio. Perché sai che non sarebbe più come prima. Perché ormai tu hai preso un'altra direzione e no, in realtà non rivorresti adesso quella vita, ma ti manca lo stesso.

E mi mancano i cornetti col cappuccino, i distributori di sigarette, il Circolo degli Artisti, i miei cani, “che se famo 'n aperitivo ar volo?”, mio padre che esce a comprare il giornale e rientra coi volantini delle offerte dei negozi di elettrodomestici, mia madre che torna dal lavoro e fa il caffé alle 6 di sera, “te faccio 'no squilletto quando so' pronta”, “Giusè, scendiiiii che è pronta la cenaaaaaaa”, mortaccivostracheschifostacittàdemmerda, chonamarezzatotale, ammazzachebbellaRomancentroperò, ciaosentichemmedaineurodepizzabbianca, tepregononannamaTrasteverecheppepparcheggiàpoiènbordello...

I miei amici portoghesi la chiamo Saudade. Io un nome non so darglielo, ma è lì e stasera non vuole proprio andarsene.
Je vois la vie en Rome.



domenica 30 marzo 2014

Almost 30

Meno di un mese ai 30. E a me di iniziare a fare bilanci non interessa. E non credo mi interesserà fra meno di un mese.
Meno di un mese ai 30 e comecazzocisonoarrivatacosìprestononloso. Voi che ai 30 ci siete arrivati prima di me, vi eravate resi conto di esserci arrivati?
Meno di un mese ai 30 e mi sembra ieri che spegnevo le candeline la sera del mio venticinquesimo compleanno nel soggiorno di casa mia, con le mie amiche. Amiche che, nel frattempo, si sono laureate, sono andate a convivere con i loro compagni, hanno cambiato lavoro, hanno avuto figli o hanno deciso di non fare più parte della mia vita. Avevo tanta paura per i miei 25 anni, non succederà di nuovo per i 30. Per i miei 30 anni, non diventerò una trentenne impaurita.

Quando ne parli a 15 anni, dei 30, pensi sempre che nella tua vita non esisteranno, che tu subirai una sorta di ibernazione a 29 anni e rimarrai per sempre con quel 2 davanti. Almeno, io non mi ci vedevo a 30 anni. Non mi immaginavo sposata, non mi immaginavo da nessuna parte di preciso, non mi immaginavo con dei figli. Semplicemente, non mi immaginavo. Tutti i miei programmi, infatti, si sarebbero dovuti compiere entro i 28 anni. Il problema è che di programmi ne avevo davvero tanti e oggi, a meno di un mese dai 30, ancora non li ho portati tutti a termine. Devo ancora fare il giro del mondo in mongolfiera, trovare il grande amore, farmi i capelli a carré e tingermeli di blu.

C'è stato un problema nel planning, scusate.

Nessuno mi aveva spiegato che ogni anno sarebbe corso via sempre più in fretta.
Nessuno mi aveva spiegato che, anno dopo anno, di programmi se ne sarebbero aggiunti altri diecimila.
Nessuno mi aveva detto che avrei abbandonato il progetto di carré blu, per adottare un mosso quasi biondo.
Nessuno mi aveva detto che avrei fatto tre traslochi a Parigi, perché nessuno mi aveva detto che sarei venuta a vivere a Parigi – anche se, in realtà, una bimba di 8 anni, in vacanza per la prima volta a Parigi, guardando un camioncino della municipalità lavare il suolo di rue Beaubourg, aveva avuto la netta sensazione che un giorno sarebbe stata parte di questa folle città; quella stessa bimba, è diventata poi una giovane venticinquenne che davanti a Notre-Dame ha formulato lucidamente la frase “Parigi, io la amo, ma non credo che potrei mai viverci”.
Nessuno mi aveva detto che a meno un mese dai 30, mi sarei sentita così tanto giovane. Come se avessi tutta la vita davanti, come quando di anni ne avevo 20. Come se di tempo per fare quel carré blu ce ne sarà ancora in abbondanza.
Nessuno mi aveva detto che a meno di un mese dai 30, una domenica mattina mi sarei svegliata con i muscoli indolenziti dallo sport, con il bisogno di scrivere.
Nessuno mi aveva detto che a meno di un mese dai 30, mi sarei resa conto che chissenefrega dei bilanci, dato che ho imparato di più in 5 anni da vagabonda che in tutta un'esistenza impiegata a fare bilanci su me stessa.
Nessuno mi aveva detto che a meno di un mese dai 30 anni, avrei scoperto sorprendentemente che i jeans a vita alta mi stanno molto meglio dei jeans a vita bassa.
Nessuno mi aveva detto che a meno di un mese di 30 anni, avrei avuto la netta sensazione di essere amata e di amare profondamente, anche senza un uomo al mio fianco, perché nessuno mi aveva detto che a meno di un mese dai 30 anni avrei scoperto che la famiglia può diventare un faro visibile a migliaia di chilometri di distanza, un fratello può diventare un compagno di viaggio e un serbatoio di orgoglio, le amiche lontane possono diventare delle sorelle, gli amici vicini una nuova famiglia, e i colleghi di lavoro dei compagni di banco.

Meno di un mese a 30 anni. Di bilanci non ne faccio semplicemente perché non ho tempo. Fuori ci sono 21 gradi.  


lunedì 3 febbraio 2014

Gli italiani all'estero non esistono...

Io non lo so come passano il tempo gli italiani all'estero. Sembra sia la cosa su cui si interrogano tutti gli italiani in Italia, ultimamente. Mi dispiace, io non lo so.

Io non lo so come passano il tempo gli italiani all'estero, perché gli italiani all'estero non esistono. Esistono tante persone che hanno deciso di prendere un aereo un giorno e poi non sono - ancora? - tornate all'aeroporto di partenza. E non sanno se lo faranno mai.
Esistono tanti ragazzi che sono partiti per pochi mesi e, poco per volta, si sono resi conto che il contenuto di quella valigia Carpisa non era più sufficiente e che quei pochi mesi sono diventati anni. E allora hanno accumulato vestiti, tazze, libri, lenzuola, letti e mobili. E si chiedono quasi ogni giorno cosa ne faranno se mai torneranno “a casa”.
Esistono tanti ragazzi che non ricordano il momento in cui hanno deciso di “fuggire” dall'Italia. Semplicemente perché non lo hanno deciso. Le possibilità sono porte che si schiudono improvvisamente e molto spesso si viene risucchiati da quello che si nasconde dietro di esse.

Non so, tanto meno, come passano il tempo i celeberrimi cervelli in fuga, perché io non ne conosco. Io conosco solo anime in pena: persone che scelgono ogni giorno di non tornare in quell'aeroporto di partenza per allontanarsi dalla disoccupazione, dalla crisi, dai fallimenti amorosi, dalla provincia soffocante e pettegola. Quello che queste anime in pena non vogliono ammettere, però, è che di delusioni amorose, di lavori precari e mal pagati e di pettegolezzi, ne è pieno il mondo. Anche le più affascinanti metropoli multietniche.

Io non lo so quello che fanno gli italiani all'estero perché non catalogo le persone in base al loro passaporto. Cosa che, purtroppo, ancora troppa gente fa. E il mio più grande sogno è quello di far capire agli italiani e ai non italiani che non siamo tutti uguali.
Ci sono gli italiani all'estero felici e soddisfatti di quello che hanno trovato, quelli che sgobbano dalla mattina alla sera perché sono affermati manager e quelli che sgobbano dalla sera alla mattina perché lavorano al turno notturno di brasserie con servizio continuo 24/24, quelli idealisti e quelli attaccati ai soldi, quelli che si attanagliano il cervello con domande esistenziali e quelli che di domande non se ne fanno affatto. Ci sono gli italiani all'estero che hanno studiato tanto e italiani all'estero che hanno studiato di meno. Italiani all'estero che parlano a voce alta e italiani all'estero che fai fatica a sentire cosa dicono per quanto la loro voce sia discreta. Ci sono italiani all'estero che mangiano orsetti gommosi e italiani all'estero che li odiano. Italiani all'estero che “ce l'hanno fatta” e italiani all'estero che si chiedono se al mondo ci sia davvero un posto per loro. 
Pensate, ci sono addirittura italiani all'estero che si sposano e fanno figli con non italiani all'estero, e con questi figli non parlano italiano. Ma ci sono anche italiani all'estero che risiedono all'estero e parlano ancora molto male la lingua del posto. E magari si innamorano di altri italiani all'estero.
Ci sono italiani all'estero che non credono di essere in vacanza da una vita, anzi. Alcuni credono che sarebbe addirittura stato più facile restare a casa da mamma, ché “almeno una buona cena la sa preparare e mi coccola se ho la febbre”. 
Ci sono italiani all'estero che mettono da parte soldi e giorni di ferie per fare vacanze non in Italia (all'estero, appunto). Ma ci sono anche italiani all'estero che preferiscono investire i propri soldi e le proprie ferie per andare a trovare il più spesso possibile la nipotina che cresce velocissima.
Ci sono italiani all'estero che non tornano in Italia semplicemente perché hanno molta più paura del “noto” di quanta non ne abbiano dell' “ignoto”. E poi ci sono italiani all'estero che “mi faccio due anni qui e poi torno a casa col CV arricchito e apro una start-up”. Ma ci sono anche quelli del “mettiamo insieme un piccolo capitale di partenza e apriamo una pizza al taglio a Saint-Germain-des-Près ché la ristorazione italiana va sempre una bomba a Parigi ”.
Ci sono italiani all'estero che ritoccano di continuo il loro CV in cerca di una nuova chance, italiani all'estero adagiati sul loro posto fisso, italiani all'estero che sognano di mollare tutto e aprire quel famoso chiosco sulle spiagge di Cuba. Lo stesso chiosco che sognavano quando non erano ancora italiani all'estero...

Io non lo so quello che fanno gli italiani all'estero, ma credo che non sia davvero tanto diverso da quello che fanno tanti italiani in Italia.

Il mondo è piccolo, la gente mormora e la crisi è ovunque.

E poi, esistono anche tanti italiani all'estero offesi dal falso mito dell'italiano all'estero...


mercoledì 22 gennaio 2014

Choose life. Choose a City.


- E a Parigi, come si sta? Bene, eh?
- Bene, sì. Certo.
- E dimmi, che fai a Parigi?
- Mah, lavoro in un'azienda. Faccio la XXX.
- Bello! Figurati, qualità di lavoro a mille in Francia. Là mica li fanno 'sti contrattini, niente lavoro nero...
- Ah no, figurati. Solo tanto tempo determinato. Fra un mese mi scade il contratto, ma ancora non so niente.
- Ah. Vabbè, ma ti tengono! Figurati, là, se uno è bravo, se lo tengono stretto! Poi tu parli le lingue!
- Ah, no. Infatti sto proprio tranquilla...
- Senti, e dove vivi? Mi immagino un bell'appartamentino tutto per te con vista sui tetti di Parigi.
- Condivido un appartamento con un tipo e la metà del mio stipendio se ne va per l'affitto di una camera. L'appartamento, però, è carino. Pensa, abbiamo anche la lavatrice. No, non ho la vista sui tetti parigini, ma dalla finestra della cucina vedo il dirimpettaio adolescente che trascorre le serate cantando in un flacone di deodorante, facendo finta di essere una rockstar....
- E perché non ti cerchi una cosa tutta per te? Vuoi vedere che non trovi un appartamentino carino tutto tuo?
- Mah, ho visitato qualche monolocale, ma fare la guerra per pagare 750 euro per 15 mq non mi interessa, per ora.
- Quanto???
- Quanto cosa? 750 o 15?
- Ma scusa, 15 mq è un buco!!!
- Il minimo legale per affittare un “alloggio” in Francia è 9 mq. 15 non è poi tanto male.
- Scusa, e dove cucini?
- Nei 15 mq.
- E dove dormi?
- Nel letto. Negli stessi 15 mq.
- Scusa, e dormi e cucini nella stessa stanza?
- Ah, spesso fai la doccia e cachi pure in quei 15 mq.
- Ma sono pazzi? Vabbè, però la sera quando esci, tutta vita eh!
- Beh, sì. 'Na pinta 8 euro, quando spendi poco.
- Madonna santa, ma chi te lo fa fare de sta' là? 
- Mah, sai, è comunque Parigi...
- Vabbè, sì. Ma poi, dove me lo metti il Moulin Rouge?
- Eh. Dove te lo metto il Moulin Rouge?


***

- Et vous venez de quelle région en Italie?
- Latium.
- Dove?
- Rome.
- Magnifique!
- Oh oui...
- Sono stato a Roma a Pasqua. Tempo magnifico, gli italiani tutti gentili, cucina ottima, Piazza Navona, Vespà!
- Sì, è davvero bella Roma.
- E non le manca?
- Ah, moltissimo.
- E perché non torna?
- Mah, c'è la crisi. I giovani scappano...
- Beh, ma c'è davvero tutta questa crisi che dicono? Quando sono stato là, i negozi erano pieni...
- Di russi, probabilmente.
- Effettivamente non sembravano italiani quelli nelle boutique. Sì, ma la qualità di vita in Italia, non c'è paragone! Roma, poi, vive di turismo. Lei parla le lingue, cosa ci metterebbe a trovare un lavoro a Roma?
- Mah, l'ultima volta che ho letto gli aggiornamenti sul tasso di disoccupazione giovanile a Roma, si parlava del 40%. Da allora ho smesso di tenermi aggiornata.
- Incroyable! Questo è il risultato di 20 anni di Berlusconì, n'est-ce pas?
- Mah, mica è così semplice. 
- Immagino le manchi. Cosa le manca di più?
- La pizza bianca, il cornetto e cappuccino alle 4 di notte, il Ghetto ebraico, il mare di merda a mezz'ora di macchina e mia madre.
- Ah, les italiens et la Mamma!!! Siete tutti uguali! E les pastas?!? Non le mancano les pastas?
- Lei è stato al Ghetto ebraico quando è venuto a Roma?
- Perché, c'è un Ghetto a Roma? No, ho fatto 3 ore di fila per entrare ai Musei Vaticani, ho mangiato il gelato di Grom e ho visitato Piazza di Spagna e Via Condotti. Un barista ci ha provato con mia moglie. Gli italiani sono molto simpatici...
- Sì, siamo tutti simpatici. Oh, mi scusi, si è fatto tardi. Devo andare...
- Au revoir! Come dite voi italiani... "Ciao Bellà!"
- Seh. Ciao Còre.




Women // Teachers

"E' da tanto che non scrivi, come mai?"  E' una domanda che mi è stata posta ogni tanto nell’ultimo paio di anni. Semplic...